giovedì 5 maggio 2011

Pincopanco e Pancopinco

Giochino del giorno: cosa hanno in comune Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani?

Ovviamente a prescindere dalla loro natura di esseri umani.

Aiutino: la cosa che li accomuna è la stessa cosa che accomuna destra e sinistra.

Qualcuno potrebbe storcere il naso dopo questa affermazione, ma non c’è nessun affronto a nessuno qui.
La risposta al giochino è: l’ideologia di fondo, o meglio il paradigma nel quale sono nati.

E con loro tutti noi.
Chiaro? 
Forse non a tutti.
Probabile che una precisazione sul concetto di paradigma possa essere utile.

Detto in modo semplice un paradigma è un pensiero che si pone come basilare, cioé come modello di riferimento, e che quindi determina il campo entro il quale si procede con la ricerca e la riflessione, che possono essere estese a diversi ambiti.
Precisato questo risulta evidente che prendere un pensiero e porlo come paradigma è sempre un esercizio di scelta, e la scelta è dettata sempre

venerdì 4 marzo 2011

C'era una volta...

Quanti sarebbero d’accordo riguardo al crescere un bambino abituandolo a pensare che il mondo sia come nelle favole: pieno di draghi, con le nuvole fatte di zucchero filato e gli alberi pronti a dargli gelati in cambio di acqua e miele?
Un bambino che crescesse in questo modo di certo si costruirebbe una immagine mentale ben marcata del mondo nel quale sta per avventurarsi, soprattutto se nel mentre di quei racconti lo si facesse vivere anche in una casa stile parco giochi con ricostruzioni di quei draghi, di quelle nuvole e di quegli alberi.
E quanti continuerebbero a difendere la stessa idea di mondo nel momento in cui, dopo un lungo viaggio, il bambino ormai divenuto adulto, si trovasse con un mondo diverso da quello raccontatogli nell’infanzia, magari dicendogli che l’insuccesso della sua ricerca è dovuto ad un errore di percorso e di strade seguite? 
La situazione che la maggior parte dell’umanità attualmente sta vivendo non è molto dissimile da quella di quell’adulto cresciuto a pane e favole.

Da quando è stata introdotta la visione del mondo meccanicistica (ormai quasi quattro secoli), con le influenze che ha avuto sui vari settori della conoscenza e del pensiero umano, l’umanità ha vissuto e continua a vivere in una specie di “paese dei balocchi” per quanto riguarda l’immagine che ha del pianeta Terra.

Alla scoperta delle leggi che regolano l'universo, in risposta all'oscurantismo di "Santa Madre Chiesa", ci siamo fatti prendere la mano nel ridefinire la nostra autonomia come esseri senzienti indipendenti dai dettami di una fede, e siamo approdati sulle confortevoli sponde di un'altra fede: quella dell'infinitezza delle nostre capacità nel produrre beni in quantità infinita, supportati da un pianeta equivalente ad un forziere di risorse infinite.
E se il paradigma meccanicistico è uno dei due genitori, seguendo l’immagine data all’inizio del testo, che hanno deciso di crescere il bambino a suon di favole (e che l’essere umano sia riducibile ad una “macchina consumaprodotti” con bisogni infiniti non può che esser considerata una favola e anche di quelle tristi!), l’altro genitore, che persevera nel difendergli l’immagine distorta della realtà anche quando da adulto si scontra con la verità dei fatti, è il sistema capitalistico di mercato.


Nonostante l’edificio capitalista abbia già in passato e in diversi modi dato la possibilità di vedere delle crepe sui propri muri, inclusa la crisi attuale che stanno attraversando le economie nazionali degli stati occidentali, sembra che gli economisti, i guru della nuova fede, ancora non vogliano prendere in considerazione la possibilità che forse il problema di questo sistema non sta nella regolamentazione dei mercati (seguendo uno dei due schieramenti principali) o nella deregolamentazione degli stessi (seguendo lo schieramento opposto), ma nelle basi stesse sulle quali posano le sue fondamenta. Fondamenta che “sono fatte della stessa sostanza dei sogni” come direbbe il bardo.

E allora si continua nella narrazione della nostra favola e nel difenderla dicendo:
"No, tesoro. Non preoccuparti. Persevera nella ricerca perché i draghi esistono. Forse hai cercato nei posti sbagliati. Forse da solo è troppo difficile. Convinci i tuoi amici a venire con te e sicuramente in molti riuscirete a trovarli!"



Ora, che la maggior parte degli economisti, per loro formazione, non sappiano integrare nel loro campo di interesse le condizioni che la natura ci pone per ogni nostra attività non sarebbe una cosa così importante per il genere umano, se non fosse per il fatto che sono loro i “gran sacerdoti” che i governi hanno scelto come consiglieri. E loro, e noi, inebriati dalle possibilità che la gran quantità di beni prodotti negli ultimi cento anni ci hanno dato, ora come bimbi che temono la perdita di tutti i loro giochi, con difficoltà e con sofferenza pian piano iniziamo ad aprire gli occhi e a scoprire che forse quei giochi ci hanno sottratto molto.
I bruschi risvegli non piacciono a nessuno, soprattutto quando si sta sognando qualcosa di piacevole. Ed è innegabile che per noi, parte di mondo che ne abbiamo assaggiato i frutti più succosi, il capitalismo sia stato ed è ancora una stanza piena di comodità.
Ma come suggerito in “The Corporation” dobbiamo stare attenti nel non confondere il senso di velocità e l’aria che ci sferza il viso con l’immagine di un volo, quando in realtà quelle sensazioni sono date da un precipitare velocemente verso un grosso schianto al suolo.


Con questo non cerco di presentare l’esperienza del capitalismo come il male assoluto.
Nella storia dell’umanità si sono susseguiti, e si susseguiranno ancora, periodi nei quali si sperimentano modi di pensiero, stili di vita e organizzazioni sociali; tutte queste sono tappe naturali e formative per l’intera popolazione umana.
Il punto è che dovrebbe essere giunto il momento di prenderci le nostre responsabilità: abbiamo la capacità di osservarci e di poter riconoscere per tempo il mondo che abbiamo intorno per ciò che è realmente, non cercando più di adattarlo a quell'immagine mentale che ci siamo formati ai tempi delle favole, senza aspettare l’impatto violento dei nostri “solidi sogni” contro il suolo della realtà.